Focus su EMPRISE: dal disegno dello studio ai dati più recenti

Gli inibitori del SGLT2 vengono correntemente impiegati per il trattamento del diabete mellito di tipo 2 da oltre 5 anni. 

Nel corso di questi, numerose evidenze si sono accumulate a sostegno del fatto che non solo le molecole di questa classe sono efficaci nell’assicurare un miglioramento del controllo glicemico ma che il loro uso si associa anche ad una significativa riduzione del rischio cardiorenale (1).

Nello studio EMPA-REG, il primo dei trial in cui questa protezione cardiorenale veniva solidamente dimostrata, il trattamento con empagliflozin si associava ad una riduzione del 38% del rischio di morte cardiovascolare, del 35% del rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e del 46% del rischio che si verificasse un endpoint renale composito (2).  

Tuttavia, i soggetti reclutati nello studio EMPA-REG, così come la maggioranza dei soggetti arruolati in altri Cardiovascular Outcome Trial condotti con altre molecole della classe, erano soggetti con altissimo rischio CV, tutti o quasi con malattia cardiovascolare accertata. Inoltre, la marcata efficacia di empagliflozin nell’assicurare protezione cardiorenale osservata nello studio avrebbe potuto, almeno in parte, essere condizionata dal particolare “setting” in cui viene condotto un trial, diverso dalla pratica clinica abituale. Per stabilire quindi se i notevoli benefici associati al trattamento con empagliflozin potessero essere osservati anche nella comune pratica clinica, ed in pazienti con un ampio range di rischio CV, veniva disegnato lo studio EMPRISE. EMPRISE (3) è uno studio osservazionale real-world, condotto su data-base clinico-amministrativi negli USA, ma anche in Europa ed in Asia, con lo scopo di osservare la efficacia, la sicurezza, il consumo di risorse ed il costo delle cure in soggetti con diabete di tipo 2 trattati con empagliflozin. L’analisi viene condotta sui primi 5 anni di utilizzo di empagliflozin nella pratica clinica, dal 2014 al 2019 in oltre 200,000 pazienti con diabete di tipo 2. 

Nella pratica, venivano censiti i soggetti che iniziavano trattamento con empagliflozin (EMPA), che erano quindi “matched” 1:1 attraverso una analisi del propensity score con pazienti che iniziavano sitagliptin (SITA) o altro DDP-4i o con pazienti che iniziavano un agonista recettoriale del GLP-1 (GLP-1 RA). I soggetti venivano quindi tracciati nel tempo per catturare eventuali differenze tra i trattamenti relativamente ad una serie di endpoint, tra i quali morte per tutte le cause, morte da cause cardiovascolari, il classico “3 points MACE”, e ospedalizzazione per infarto, per stroke o per scompenso cardiaco. Venivano tracciati, come endpoint secondari, anche il manifestarsi di insufficienza renale di grado terminale (trattamento dialitico), la necessità di procedure di rivascolarizzazione coronarica o la necessità di trattamento della retinopatia. Venivano inoltre valutati, oltre ad endpoint di sicurezza (comparsa di: fratture ossee, chetoacidosi, neoplasie delle vie urinarie, amputazioni degli arti inferiori, insufficienza renale acuta, ipoglicemia severa), indicatori di costo e consumo di risorse (ad esempio: giorni di ospedalizzazione, numero di accessi in pronto soccorso, numero di visite ambulatoriali).  

I dati relativi all’analisi a 2 anni (EMPA vs SITA) sono già stati pubblicati (4) ed hanno dimostrato una notevolissima riduzione sia delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, sia  definito in maniera molto specifica (Specific HHF- scompenso cardiaco indicato come diagnosi principale alla dimissione) che in maniera allargata (Broad HHF – scompenso cardiaco comunque  menzionato alla dimissione anche se non come diagnosi principale)  con un OR in favore di EMPA di 0,49 (CI 0,27-0,89) per Specific HHF e di 0,56 (CI 0,43-0,73) per Broad HHF. 

Relativamente a questi dati sono state prodotte più recentemente delle sotto-analisi (5), che dimostrano come questo importantissimo vantaggio relativo alle ospedalizzazioni per scompenso sia presente sia nei soggetti con che nei soggetti senza storia di pregresso scompenso cardiaco al baseline, con un trend che indicherebbe una protezione addirittura maggiore nei soggetti senza pregressa storia di scompenso.  Inoltre, anche le ospedalizzazioni per tutte le cause (sia che si consideri solo la prima ospedalizzazione, sia che si considerino tutte le ospedalizzazioni)  (Fig.1) sono significativamente ridotte di circa il 20% nei pazienti che iniziavano EMPA vs coloro che iniziavano SITA. Questo vantaggio è riscontrabile sia nei soggetti con che nei soggetti senza storia di pregresso scompenso cardiaco al baseline.   

I dati relativi all’analisi a 3 anni non sono stati ancora pubblicati “in extensu”, ma sono già disponibili e presentati in forma di abstract in diversi Congressi Internazionali. Relativamente al paragone tra EMPA e SITA i dati a 3 anni si riferiscono ad oltre 39,000 soggetti per gruppo con un follow-up medio di 5,8 mesi e confermano una riduzione del 58% del rischio di Specific-HHF (OR 0,42; CI 0,31-0,58) del 41% del rischio di Broad HHF (OR 0,59; CI 0,51-0,69) (6) (Fig.2). Inoltre, i soggetti che iniziavano EMPA presentavano, rispetto a coloro che iniziavano SITA, una significativa riduzione della mortalità per tutte le cause (OR 0,52; CI 0,36-0,76) mentre non vi era differenza tra i 2 gruppi relativamente al rischio di eventi cardiovascolari (infarto, ictus, angina instabile, rivascolarizzazione coronarica) (7,8).

Relativamente al confronto tra soggetti che iniziavano EMPA e soggetti che iniziavano GLP-1 RA, i dati a 3 anni si riferiscono a 55,860 soggetti per gruppo con un follow-up medio di 6,7 mesi. Anche relativamente al trattamento con GLP-1 RA il trattamento con EMPA si associa ad una significativa riduzione sia del rischio di Specific HHF (OR 0,67; CI 0,50-0,91) che di Broad HHF (OR 0,83; CI 0,71-0,96). Non vi era invece differenza significativa tra i 2 gruppi né relativamente alla mortalità per tutte le cause né relativamente al rischio di eventi cardiovascolari (9) (Fig.3).

Per quel che riguarda il confronto tra EMPA e SITA sono anche stati presentati alcuni dati preliminari relativi alla sicurezza (7) ed al “consumo” di risorse sanitarie (10). Gli episodi di insufficienza renale acuta sono stati in numero significativamente inferiore nei soggetti che iniziavano EMPA (8,9 vs 15,5 eventi/1000 pz/anno) mentre nessuna differenza tra i due gruppi si è osservata nel numero di amputazioni degli arti inferiore e nella incidenza di fratture ossee. L’incidenza di chetoacidosi è stata molto bassa in entrambi i gruppi (2,7 vs 1,8 eventi/1000 pz/anno) ma tendenzialmente maggiore nel gruppo che iniziava EMPA (OR 1,56; CI 1,00- 2,44) (Fig.4). Relativamente al “consumo” di risorse sanitarie è stato analizzato il numero di giorni complessivi di ospedalizzazione per anno per soggetto. Questo è risultato inferiore nei soggetti che iniziavano EMPA rispetto a coloro che iniziavano SITA (0,36 vs 0,52 giorni/soggetto/anno). 

I dati che si vanno acquisendo dallo studio EMPRISE sono e saranno di grande aiuto nel comprendere l’effettivo impatto dell’utilizzo di empagliflozin nella pratica clinica. Questo anche grazie al fatto che EMPRISE è uno studio molto ampio, che ha coinvolto e coinvolgerà pazienti di continenti diversi, di nazioni diverse e quindi di diversissimi setting assistenziale e, soprattutto, perché il rigoroso matching dei soggetti osservati attraverso la applicazione di un Propensity Score basato sulla analisi di oltre 140 variabili rende molto improbabile che le differenze evidenziate tra i gruppi di trattamento possano essere ascritte a cause diverse dal trattamento stesso. 

Quello cha abbiamo appreso fino ad ora testimonia della efficacia di empagliflozin, nei confronti di sitagliptin, nel ridurre di oltre il 40%, e quindi in maniera sia statisticamente che clinicamente significativa il rischio di scompenso cardiaco e di quasi il 50% il rischio di mortalità per tutte le cause. Empagliflozin si dimostra superiore anche ai GLP-1 RA nel ridurre il rischio di scompenso cardiaco, che è inferiore del 17% nei pazienti trattati con l’SGLT-2 inibitore.

Sul versante della sicurezza, le prime analisi di EMPRISE mostrano che il trattamento con empagliflozin non è associato ad un aumento del rischio di amputazioni degli arti inferiori né con un aumento del rischio di fratture ossee. A contrario, al confronto con il trattamento con sitagliptin, è associato con una importante riduzione del rischio di insufficienza renale acuta.

Le analisi di EMPRISE sono ancora in corso ed è lecito attendersi che forniranno dati ed evidenze ancora più ampie sull’uso clinico dei SGLT-2 inibitori. Quello che è emerso fino ad ora dimostra che i dati degli studi randomizzati controllati trovano ampio riscontro, per quello che riguarda i benefici del trattamento con empagliflozin, nei dati ottenuta dalla osservazione della pratica clinica. Questo conferma che la protezione offerta da questa molecola nei confronti dello scompenso cardiaco e della mortalità è reale ed importante, causale e non casuale.  

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Giugliano D, et al.  SGLT-2 inhibitors for prevention of cardiorenal outcomes in type 2 diabetes: an updated meta-analysis. Diabetes Obes Metab. 2021 Online ahead of print
  2. Zinman B, et al. Empagliflozin, Cardiovascular Outcomes, and Mortality in Type 2 Diabetes.  N Engl J Med. 2015;373(22):2117-28. 
  3. Patorno E, et al. The EMPagliflozin compaRative effectIveness and SafEty (EMPRISE) study pro-gramme: Design and exposure accrual for an evaluation of empagliflozin in routine clinical care. En-docrinol Diabetes Metab. 2019;3(1):e00103
  4. Patorno E, et al. Empagliflozin and the Risk of Heart Failure Hospitalization in Routine Clinical Care.  Circulation. 2019;139(25):2822-2830
  5. Pawar A et al. ESC 2019; abstract P5003
  6. Patorno E et al. HFA Discoveries 2020; abstract 1761
  7. Patorno E et al. ADA 2020; abstract 134-LB 
  8. Patorno E et al. AHA 2019; oral presentation 11928
  9. Patorno E et al. ADA 2020; abstract 133-LB
  10. Najafzadeh M et al. AHA 2019; abstract 13655
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Agostino Consoli

DMSI e CAST, Università d’Annunzio di Chieti, Pescara

Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4

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