Sottoanalisi EMPEROR-R: ARNI ed MRA
Sono passati alcuni mesi dalla presentazione dei risultati principali dello studio EMPEROR-reduced (1) ed, alla pubblicazione del lavoro principale, ha fatto seguito quella di alcune analisi secondarie che supportano ulteriormente l’efficacia del trattamento con empaglifozin nei pazienti con scompenso cardiaco e frazione d’eiezione del ventricolo sinistro compromessa (HFrEF). Tra queste sottoanalisi, quelle riguardanti i sottogruppi di pazienti con e senza terapia con sacubitril/valsartan (inibitore del recettore dell’angiotensina II e della neprilisina, ARNi) ed antagonisti dei recettori mineralcorticoidi (MRA) (2-3) hanno offerto risultati di particolare interesse che consentono di chiarire alcuni aspetti rilevanti sul il ruolo dell’empaglifozin nel trattamento dei pazienti con HFrEF nella pratica clinica quotidiana.
L’empaglifozin è uno degli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i), che agiscono a livello del tubulo contorto prossimale dei nefroni, inibendo il riassorbimento di glucosio e determinando un’azione glicosurica ed ipoglicemizzante (4). Nello studio EMPEROR-reduced (1), è stata testata la somministrazione di empaglifozin 10 mg rispetto al placebo in una popolazione di 3730 pazienti affetti da HFrEF con e senza diabete mellito di tipo 2. I pazienti arruolati presentavano una frazione d’eiezione del ventricolo sinistro (FEVS) ridotta (<40%), elevati valori di NT-proBNP, classe NYHA II-IV (anche se sono stati arruolati prevalentemente pazienti in classe NYHA II), velocità di filtrazione glomerulare (GFR) > 20 ml/min* 1,73 m2 (1). I risultati principali dello studio hanno dimostrato la capacità di empaglifozin, durante un follow-up mediano di 16 mesi, di ridurre significativamente l’end-point composito primario (morte per cause cardiovascolari o ospedalizzazione per scompenso cardiaco) e gli end-point secondari, numero totale di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e declino del GFR. L’effetto favorevole sugli end-point, infine, era indipendente dalla presenza o meno di diabete mellito (1).
Nell’EMPEROR-reduced, all’arruolamento, i pazienti dovevano ricevere la terapia ottimale per HFrEF. Più dell’88% dei pazienti era in terapia con un inibitore del sistema renina angiotensina aldosterone, di questi il 19,5% stava assumendo ARNi all’arruolamento. Il 71% dei pazienti, inoltre, assumeva un MRA. Nella tabella 1 sono riassunte le caratteristiche dei pazienti con e senza terapia con ARNi ed MRA. I pazienti trattati con ARNi presentavano pressione sistolica e frequenza cardiaca più bassi, ridotti livelli di FEVS ed NT-proBNP, maggiore utilizzo di device impiantabili. I pazienti trattati con MRA erano più giovani, con FEVS e pressione sistolica più bassa, minori valori di NT-proBNP, più elevati valori di GFR e minore utilizzo di device impiantabili.
Per entrambi questi sottogruppi erano state prespecificate delle analisi di interazione rispetto alla somministrazione di empaglifozin che sono riassunte in tabella 2. L’empaglifozin, rispetto al gruppo placebo, riduceva il rischio di morte cardiovascolare o ospedalizzazione per scompenso cardiaco sia nei pazienti che ricevevano che in quelli che non ricevevano ARNi ed MRA. Analoghi risultati si osservavano per il tempo alla prima ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Non vi era alcuna interazione nell’incidenza di end-point composito renale, morte cardiovascolare e morte per tutte le cause. L’empaglifozin consentiva, infine, di rallentare la velocità di declino del GFR sia nei pazienti che assumevano che in quelli che non assumevano ARNi ed MRA (2-3).
È, tuttavia, interessante notare come, seppure ai limiti della significatività statistica, vi fosse una riduzione nella mortalità cardiovascolare e mortalità per tutte le cause nei pazienti in trattamento con MRA ed empaglifozin.
Come mostrato nella Figura 1, un analogo trend più favorevole, se pur non significativo all’analisi per interazione, si osservava nei pazienti in trattamento con empaglifozin ed ARNi.
Dai risultati dei due sottostudi emergono anche alcuni aspetti rilevanti riguardo la sicurezza dell’utilizzo di empaglifozin in combinazione con ARNi ed MRA. In quest’ultima sottoanalisi, il rischio di iperpotasssiemia e peggioramento della funzione renale è risultato significativamente più basso nei pazienti randomizzati ad empagliflozin rispetto al placebo. Ciò ha consentito a più pazienti del gruppo in empaglifozin di proseguire la terapia con MRA. Nell’analisi dei sottogruppi che assumevano o no la terapia con ARNi si è osservata l’assenza di differenze significative nell’incidenza di iperkaliemia o ipokaliemia, di ipotensione o ipoglicemia. Un lieve aumento, ma non significativo, nell’incidenza di deplezione volemica è stato osservato nei pazienti trattati con empaglifozin e ARNi.
L’insieme dei risultati dei pazienti in trattamento con ARNi ed MRA forniscono sicuramente spunti di riflessione molto interessanti. Il primo e più rilevante è la capacità di Empagllifozin di migliorare la prognosi dei pazienti indipendentemente dalla terapia di background con le principali classi farmacologiche capaci di una efficace modulazione neuro-ormonale. Nelle ultime decadi è stata proprio la modulazione neuro-ormonale che ha rappresentato il principale target terapeutico nei pazienti con HFrEF (5-6). L’inibizione dell’enzima di conversione dell’angiotensina ed il blocco dei recettori beta-adrenergici hanno rappresentato sicuramente le pietre miliari nel trattamento dei pazienti con HFrEF. A tali approcci si è aggiunta, in seguito, l’inibizione dei recettori dell’aldosterone (7-8) con la loro azione antifibrotica oltre che diuretica e natriuretica, ed, infine, la terapia con inibitore della neprilisina (9). Quest’ultima ha rappresentato un ulteriore progresso per una più efficace modulazione neuro-ormonale, non più solo blocco dei sistemi neuro-ormonali coinvolti nella progressione dello scompenso cardiaco a FEVS ridotta, ma inibizione della degradazione dei peptidi natriuretici e potenziamento dei loro effetti natriuretici, diuretici ed antirimodellamento cardiaco (10).
In questo contesto fisiopatologico e terapeutico appare evidente come empaglifozin sia capace di agire sinergicamente con queste classi farmacologiche aggiungendo alla più efficace modulazione neuro-ormonale un’azione che porta ad un ulteriore miglioramento della prognosi. Sappiamo che l’esatta definizione dei meccanismi attraverso i quali gli SGLT2i consentono di ottenere questi straordinari benefici prognostici è ancora oggetto di studio (11). Il termine cardionefrometabolico, tuttavia, sembra riassumere in maniera efficace gli effetti di questa classe di farmaci, dai benefici emodinamici indotti dall’effetto natriuretico e diuretico osmotico, a quelli più complessi ed articolati a livello sistemico, cardiaco e renale (aumento dell’ematocrito; miglioramento dell’energetica dei miocardiociti; riduzione dell’insulino-resistenza; variazioni nel rapporto tra livelli di leptina ed adipokine, capaci, complessivamente, di ridurre lo stato infiammatorio; attivazione del feedback tubuloglomerulare, capace di ridurre l’iperfiltrazione e di rallentare il progressivo declino della filtrazione glomerulare). Meccanismi complementari a quelli della modulazione neuro-ormonale e capaci di un effetto favorevole aggiuntivo. Un aspetto che è tanto più rilevante se si considera che la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco, nonostante i grandi progressi della terapia nelle ultime decadi, continua ad essere severa.
Le sottoanalisi relative ai pazienti in terapia con MRA e ARNi non fanno che confermare questa ipotesi, dimostrando l’effetto favorevole indipendente dalla terapia di back-ground e suggerendo anche una riduzione degli eventi ancor maggiore quando empaglifozin è associato con ARNi ed MRA (Tabella 1,2). È importante anche sottolineare come, all’effetto favorevole legato alla riduzione degli eventi correlati alla progressione dello scompenso cardiaco, la terapia con empaglifozin aggiunga quello di nefroprotezione indipendente dalla terapia di background e che potenzia quello già noto degli ARNi, evidente, in particolare, nei pazienti diabetici (12).
Un secondo aspetto rilevante è quello della sicurezza di empaglifozin quando combinato ad MRA ed ARNi. La principale limitazione nell’implementazione della terapia con MRA è sicuramente rappresentata dall’aumentata incidenza di ipekaliemia. L’evidenza che empaglifozinin non ha solo un’azione prognostica favorevole indipendente da MRA, ma si associa anche ad una minore incidenza di iperkaliemia, rafforza ulteriormente la sicurezza e gli effetti favorevoli derivanti dalla combinazione delle due classi farmacologiche. Empaglifozin, inoltre, ha anche mostrato una ottima sicurezza in termini di eventi avversi anche quando combinato al trattamento con ARNi. Il lieve e non significativo aumento della deplezione volemica osservato porta a sottolineare, ancora una volta, la necessità, nella pratica clinica quotidiana, di modulare la terapia con diuretico dell’ansa nel momento in cui il paziente con HFrEF riceve terapie, come quelle con ARNi ed empaglifozin, capaci di potenziare la diuresi e natriuresi.
In conclusione, le sottoanalisi dello studio EMPEROR-reduced hanno confermato gli effetti favorevoli di empaglifozin nei pazienti con HFrEF anche nei pazienti in trattamento con ARNi ed MRA, supportando l’azione sinergica ed additiva degli SGLT2i rispetto alla modulazione neuro-ormonale. A tali effetti favorevoli si aggiunge, infine, una analoga sicurezza nell’utilizzo di empaglifozin anche in combinazione con ARNi ed MRA che supporta ulteriormente l’utilizzo precoce di tutte le classi capaci di modificare la storia naturale dello scompenso cardiaco e, nel caso di empaglifozin, di assicurare la più efficace nefroprotezione.
Bibliografia
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