SGLT-2i: non solo diabete di tipo 2
Gli SGLT-2i rappresentano una vera rivoluzione della farmacologia. Con una struttura chimica molto semplice (di fatto sono analoghi della florizina, un disaccaride naturale che inibisce sia SGLT-1 che SGLT-2), sono in grado di svolgere, attraverso meccanismi ancora non ben compresi, molteplici azioni. L’imposizione dell’agenzia FDA di effettuare studi di sicurezza (nata dopo i problemi insorti con il rosiglitazone ed il supposto aumento di eventi cardiovascolari) ha generato, se vogliamo involontariamente, una serie di dati che sono andati ben oltre la semplice dimostrazione di “sicurezza” cardiovascolare. A cominciare dal 17 settembre 2015 (data di presentazione dell’EMPA-REG OUTCOME all’EASD di Stoccolma), una tumultuosa serie di trial ha totalmente rivoluzionato la terapia del diabete. Invadendo, tuttavia, anche il campo di altre malattie importanti. A cominciare dallo scompenso cardiaco, l’insufficienza renale e, forse, altre che verranno.
In realtà molte delle evidenze erano, almeno indirettamente, già presenti nel primo EMPA-REG OUTCOME (1). Sicuramente la riduzione della ospedalizzazione per scompenso cardiaco (figura 1), ma anche la protezione renale (figura 2), a sua volta indipendente dalla presenza di albuminuria. È ormai chiaro che questi risultati erano inattesi e, per questo motivo, non correttamente inseriti nella progettazione della valutazione statistica, quindi formalmente non valutabili. Ancora, i risultati straordinari dell’EMPA-REG OUTCOME hanno imposto il “cambiamento in corsa”. Lo studio CANVAS (2), con canagliflozin, fu “rafforzato” per ottenere la riduzione dei MACE; nel DECLARE (3) fu raddoppiato l’endpoint primario introducendo la riduzione della morte cardiovascolare, purtroppo non confermata. Molte meta-analisi, tuttavia, continuavano a confermare i risultati estremamente positivi su scompenso cardiaco e protezione renale.
Nacquero così i grandi trial con endpoint diversi dal diabete, svolti su pazienti anche senza diabete. Il primo in ordine di tempo (forse anch’esso basato sui risultati ottenuti dall’EMPA-REG OUTCOME) è stato il DAPA-HF (4). I risultati del trial con dapagliflozin, condotto solo in pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione, dimostrarono sia una riduzione delle ospedalizzazioni e visite urgenti per scompenso cardiaco, sia, per la prima volta per questo farmaco, delle morti cardiovascolari. Ma la vera rivoluzione era che la riduzione di eventi era presente sia in pazienti con diabete che senza diabete. A stretto giro sono poi arrivati i risultati dei trial EMPEROR con empagliflozin. Il primo, EMPEROR-Reduced (5) (figura 3), ha prevalentemente confermato i risultati ottenuti dal DAPA-HF, sempre in pazienti con scompenso cardiaco a ridotta frazione di eiezione, sia con che senza diabete. L’EMPEROR-Preserved (6) (figura 4) ha ottenuto risultati simili anche in pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata. Quest’ultimo studio (a cui l’EMA ha concesso un parere positivo nel gennaio 2022) è particolarmente innovativo per diversi motivi: 1. Lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata è una patologia cardiaca al momento priva di una specifica terapia efficace. 2. Questo tipo di scompenso è molto frequente, soprattutto nelle persone con diabete. 3. Di fatto rende meno indispensabile una specifica diagnostica ecocardiografica preliminare. Se il paziente ha segni di scompenso (anche modesti edemi declivi, magari confermati da un rialzo dei peptidi natriuretici) può certamente beneficiare della prescrizione di empagliflozin. Di nuovo, con o senza diabete. È importante anche ricordare che nei trial effettuati per scompenso i valori minimi di eGFR cui sono stati prescritti questi farmaci sono molto bassi: fino a 20 ml/min/1.73m2 per empagliflozin negli EMPEROR e fino a 25 ml/min/1.73m2 per DAPA-HF. Da una parte confermando l’assoluta sicurezza in pazienti con insufficienza renale (anzi, con evidente riduzione della progressione della malattia renale), dall’altra, negando ogni possibile ruolo di una significativa glicosuria nei meccanismi di protezione da scompenso.
Una simile rivoluzione è avvenuta anche sulla protezione che gli SGLT-2i svolgono sulla funzione renale. Di nuovo, le evidenze erano già ben presenti e visibili nel primo EMPA-REG OUTCOME (figura 2), con una evidente riduzione del progressivo declino dell’eGFR nei pazienti trattati, forse più evidente nei pazienti con eGFR più basso. L’EMPA-REG OUTCOME, tuttavia, era un trial di sicurezza cardiovascolare in pazienti trattati per il loro diabete. Poiché l’efficacia degli SGLT-2i si perde con eGFR bassi, la protezione renale nell’EMPA-REG OUTCOME era evidenziabile solo in pazienti con filtrato non ridotto. Di nuovo, a seguito dei risultati di nefroprotezione dell’EMPA-REG OUTCOME, diversi studi sono stati iniziati. Il primo a concludersi è stato il CREDENCE, svolto su pazienti con diabete di tipo 2 e nefropatia caratterizzata da eGFR compreso fra 30 e 90 mL/min/1.73m2 e macroalbuminuria. Presenza di diabete, macroalbuminuria ed eGFR > 60 ml/min erano le comorbidità necessarie per poter prescrivere canagliflozin con indicazione di protezione renale. Poi modificate con necessità di macroalbuminuria solo per continuare la prescrizione di canagliflozin per eGFR < 30 ml/min. Anche il trial Dapa-CKD ha arruolato pazienti con eGFR relativamente basso (compreso fra 25 e 75 ml/min) e macroalbuminuria ma, diversamente dal CREDENCE (7), anche pazienti senza diabete. Anche con dapagliflozin è stata dimostrata nefroprotezione, ma il dato sembra essere più significativo nei pazienti con diabete. Il trial Dapa-CKD (8) ha arruolato solo pazienti macroalbuminurici, mentre il primo trial che potrà fornire direttamente le potenzialità di nefroprotezione in tutti i pazienti nefropatici, anche senza macroalbuminuria (e senza diabete) sarà l’Empa-Kidney (9). Di nuovo, l’EMPA-REG OUTCOME ha già mostrato nefroprotezione in pazienti non albuminurici (ma comunque diabetici); è quindi assai probabile che il trial risulterà positivo, dando finalmente la possibilità di avere uno strumento facile (e con dati pubblicati) per fornire protezione renale a tutti i nostri pazienti, con e senza diabete.
Gli SGLT-2i sarebbero quindi adatti nei casi di diabete (tipo 2), scompenso cardiaco (qualsiasi frazione di eiezione), e insufficienza renale. E forse non finisce qui. Com’è noto, i trial condotti nel diabete hanno portato a risultati ancillari non di poco conto. Riduzione della pressione arteriosa (a chi non è capitato di dover ridurre la terapia), calo ponderale (tanto che alcuni lo considerano un effetto collaterale indesiderato, almeno nei pazienti magri) ma anche riduzione dell’uricemia, delle litiasi renali, della steatosi epatica, solo per citarne alcuni. Basta interrogare clinicaltrials.gov per capire che molti altri dati verranno fuori, nelle condizioni più diverse.
Oltre al diabete di tipo 2, tuttavia, dobbiamo considerare la storia (un po’ triste) dell’uso degli SGLT-2i nel diabete di tipo 1. Com’è noto, qualche anno fa tutte le aziende hanno iniziato trial per valutare questo meccanismo di azione anche nel diabete di tipo 1. Anzi, per sotagliflozin l’indicazione è stata cercata (ed ottenuta in Europa) prima sul diabete di tipo 1 che sul diabete di tipo 2. Come ben sappiamo, l’unica possibile complicanza grave degli SGLT-2i (anche nel diabete di tipo 2, sebbene rarissima) è la chetoacidosi diabetica. Il vantaggio degli SGLT-2i nel diabete di tipo 1 è che questi farmaci sarebbero (anzi, sono) gli unici farmaci disponibili la cui azione si “interrompe” in presenza di ipoglicemia. L’obiettivo, nel tipo 1, non è quindi ottenere una riduzione di glicata, quanto riuscire a raggiungerla riducendo le ipoglicemie (figura 5). Il rapporto fra rischio (possibile chetoacidosi) e beneficio (meno ipoglicemie) è stato valutato diversamente fra FDA ed EMA. L’EMA ha infatti riconosciuto l’indicazione per dapagliflozin (e sotagliflozin, rimasta però orfana di azienda produttrice) nel diabete di tipo 1. FDA ha invece rifiutato questa indicazione (a conferma che le Agenzie regolatorie non si basano obiettivamente solo su dati scientifici). Successivamente EMA ha richiesto di inserire un warning per chetoacidosi a dapagliflozin. Warning che ha spaventato l’azienda produttrice (dapagliflozin sarebbe stato l’unico SGLT-2i ad averlo) spingendola a rinunciare a questa indicazione.
Ma la scienza, e la medicina, si basano sulle evidenze. E le evidenze dimostrano che gli SGLT-2i sono efficaci nel diabete di tipo 2, nello scompenso cardiaco, nella nefropatia diabetica, ma anche nel diabete di tipo 1. È solo una questione di esperienza, che man mano, nel tempo, aumenterà.
Bibliografia
- Zinman, Wanner, Lachin et al Empagliflozin, Cardiovascular Outcomes, and Mortality in Type 2 Diabetes N Engl J Med 2015;373:2117-28.
- Neal, Perkovic, Mahaffey et al Canagliflozin and Cardiovascular and Renal Events in Type 2 Diabetes N Engl J Med 2017; 377:644-657
- Wiviott, Raz, Bonaca et al Dapagliflozin and Cardiovascular Outcomes in Type 2 Diabetes N Engl J Med 2019; 380:347-357
- McMurray, Solomon, Inzucchi et al Dapagliflozin in Patients with Heart Failure and Reduced Ejection Fraction N Engl J Med 2019; 381:1995-2008
- Packer, Anker, Butler et al Cardiovascular and Renal Outcomes with Empagliflozin in Heart Failure N Engl J Med 2020;383:1413-24
- Anker, Butler, Filippatos et al. Empagliflozin in Heart Failure with a Preserved Ejection Fraction N Engl J Med 2021;385:1451-61.
- Perkovic, Jardine, Neal et al Canagliflozin and Renal Outcomes in Type 2 Diabetes and Nephropathy N Engl J Med 2019; 380:2295-2306
- Heerspink, Stefánsson et al Dapagliflozin in Patients with Chronic Kidney Disease N Engl J Med 2020; 383:1436-1446
- Herrington, Preiss, Haynes et al The potential for improving cardio-renal outcomes by sodium-glucose co-transporter-2 inhibition in people with chronic kidney disease: a rationale for the EMPA-KIDNEY study, Clinical Kidney Journal 2018;11: 749–761
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