SGLT2i: esperienze di real life

Gli inibitori dei co-trasportatori sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i) sono farmaci che bloccano il responsabile del riassorbimento della maggior parte (90%) del glucosio filtrato dai glomeruli renali. Tale trasportatore è localizzato a livello prossimale del tubulo contorto prossimale. Ne risulta un’aumentata escrezione renale di glucosio (70/80 g) che si traduce in una riduzione della glicemia plasmatica e quindi di conseguenza dell’emoglobina glicata (Figura 1). Calo che si attesta nella maggior parte degli studi registrativi di fase 3 sui 0.7-0.8%. Questo meccanismo d’azione è dipendente dai livelli di glicemia ma indipendente dall’azione dell’insulina. L’escrezione di glucosio si traduce anche nella perdita di 280-300 kcal al giorno e di conseguenza in una riduzione del peso corporeo che nella maggior parte degli studi è di 2-3 kg in media, sia quando assunto in monoterapia che in add-on ad altri ipoglicemizzanti. La glicosuria inoltre, per effetto osmotico, causa un maggior output urinario con conseguente riduzione della pressione sistolica che negli studi di fase 3 si attestava tra i 3 e i 5 mmHg (1). Negli studi di outcome cardiovascolare (CVOTs) gli SGLT2i, rispetto al placebo, hanno dimostrato la capacità di ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori (MACE), la mortalità cardiovascolare e l’ospedalizzazione per scompenso cardiaco (HHF) (Tabella 1). Inoltre, la terapia con SGLT2i era associata ad una progressione più lenta della malattia renale ed a tassi minori di eventi renali tra cui la progressione dell’albuminuria, il raddoppio della creatinina, l’inizio di terapia sostitutiva o la morte per causa renale (Tabella 1) (2–11). 

Tali effetti sembrano essere indipendenti dal miglioramento del controllo glicemico. A sostegno di questa ipotesi vi sono i risultati degli studi DAPA-HF ed EMPEROR-Reduced che hanno incluso pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta con o senza storia di diabete. In questi studi si è osservata una riduzione significativa dell’HHF, della morte per tutte le cause e della mortalità cardiovascolare, nonché un beneficio significativo su outcome renali, nel gruppo di pazienti trattato con gli SGLT2i dapagliflozin ed empagliflozin rispetto al gruppo trattato con placebo, indipendentemente dalla presenza o meno di diabete (12,13). Allo stesso modo, lo studio DAPA-CKD ha dimostrato che il trattamento con dapagliflozin riduce il rischio di endpoint renali, la morte per cause cardiovascolari o l’HHF e la mortalità per tutte le cause in pazienti con malattia renale cronica, con o senza diabete (14).

Gli studi randomizzati controllati (RCT) tuttavia sono condotti su popolazioni selezionate, con dimensioni del campione relativamente ridotte e durata di follow-up relativamente breve, in setting “controllati” e in centri specializzati. I risultati, quindi, potrebbero non essere generalizzabili all’intera popolazione seguita nella pratica clinica.

Le analisi di dati “real-life”, grazie ad enormi quantità di dati, offrono informazioni aggiuntive a quelle fornite dagli RCT, la popolazione studiata è più ampia, più eterogenea e più rappresentativa della realtà osservata tutti i giorni nella pratica clinica. La Real world evidence pertanto può essere considerata uno strumento complementare alla ricerca dei RCT (15). A tale scopo vengono utilizzati dati provenienti da cartelle cliniche elettroniche, grossi registri nazionali e database amministrativi, registri assicurativi. La metodica del propensity score matching viene solitamente usata per ottenere 2 gruppi paragonabili per caratteristiche cliniche al baseline. 

Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi studi real-world osservazionali, retrospettivi, che hanno valutato l’efficacia e la sicurezza degli SGLT2i in diversi contesti clinici e geografici (16) (Tabella 2). Lo studio CVD-REAL è stato il primo grande studio retrospettivo osservazionale multinazionale che ha raccolto dati da cartelle cliniche elettroniche e registri di 6 nazioni (Stati Uniti, Norvegia, Danimarca, Svezia, Germania e Regno Unito) per un totale di più di 300.000 pazienti con un follow-up di circa 200.000 persone/anno. Sono stati confrontati i tassi di HHF e morte per tutte le cause in pazienti che iniziavano una terapia con SGLT2i rispetto a pazienti che iniziavano altri farmaci ipoglicemizzanti. Lo studio ha dimostrato che nella pratica clinica la terapia con SGLT2i si associava ad una riduzione del 39% del rischio di HHF e del 51% della morte per tutte le cause (17). Riduzione significativa di MACE associata al trattamento con SGLT2i si è osservata nello studio CVD-REAL Nordic che ha analizzato dati provenienti da Danimarca, Norvegia e Svezia (18). 

In linea con tali risultati sono quelli ottenuti dallo studio CVD-REAL 2 che ha raccolto dati di più di 400,000 soggetti provenienti da sei paesi: Australia, Canada, Israele, Giappone, Singapore e Corea del Sud. Il trattamento con SGLT2i si associava ad un rischio significativamente inferiore di morte per tutte le cause (-49%), HHF (-36%), infarto del miocardio (-19%) e ictus (-32%) (19).  

La prima analisi ad interim dello studio EMPRISE ha valutato in maniera specifica, il rischio di HHF nella pratica clinica quotidiana, in pazienti che iniziavano un trattamento con empagliflozin rispetto al DPP4 inibitore più frequentemente prescritto negli Stati Uniti, sitagliptin, utilizzando 2 database degli USA. Rispetto a sitagliptin, l’utilizzo di empagliflozin in pazienti con diabete con e senza storia di malattia cardiovascolare, era associato ad un rischio di HHF più basso del 50% (20). Il beneficio su HHF è coerente con quanto emerso da altri studi real-world mentre gli outcomes mortalità cardiovascolare e per tutte le cause non sempre esplorati negli studi hanno dato risultati non sempre significativi (21) (Tabella 2). In un recente studio osservazionale, retrospettivo, italiano, condotto in Veneto, sono stati confrontati outcomes cardiovascolari in pazienti che iniziavano un SGLT2i rispetto a quelli che iniziavano un GLP-1 receptor agonist, farmaci che anch’essi hanno dimostrato un beneficio cardiovascolare nei CVOTs (22). L’endpoint primario era un composito di primo episodio di infarto del miocardio, stroke e mortalità per tutte le cause. Con la tecnica del propensity score matching sono stati individuati 4,298 pazienti per ciascun gruppo. Il trattamento con SGLT2i si associava ad una riduzione significativa del rischio di eventi cardiovascolari e morte per tutte le cause (HR 0.78, 95% IC 0.61-0.99), di HHF (HR 0.59, 95% IC 0.35-0.99) e di ospedalizzazione per causa cardiovascolare (HR 0.82, 95% IC 0.69-0.99) rispetto al trattamento con GLP-1 receptor agonist (23). 

Per quanto riguarda gli effetti protettivi renali, lo studio osservazionale, multinazionale CVD-REAL 3 ha analizzato retrospettivamente i dati di circa 70,000 pazienti di Italia, Israele, Giappone, Taiwan, e dal Regno Unito che iniziavano una terapia con SGLT2i o un altro ipoglicemizzante. L’outcome principale era il cambiamento nell’eGFR, endpoint secondario era un composito di riduzione sostenuta ≥50% dell’eGFR, insufficienza renale terminale, dialisi, o il trapianto di rene. La terapia con SGLT2i era associata ad un rallentamento nel declino dell’eGFR e ad un minor rischio di eventi renali (24). Simili benefici renali si sono osservati in uno studio di coorte che ha utilizzato dati di registro nazionale di Scandinavia, Danimarca e Norvegia.  Il trattamento con SGLT2i era associato ad un rischio significativamente più basso (-58%) di eventi renale (prima occorrenza di terapia sostitutiva renale, ricovero ospedaliero per eventi renali o morte per cause renali) rispetto al trattamento con DPP4 inibitori (25).

In conclusione, complessivamente, i dati di real-world suggeriscono che i benefici cardiaci e renali degli SGLT2i osservati negli RCT sembrano essere ampiamente generalizzabili alla pratica clinica. Gli SGLT2i, pertanto, devono essere considerati farmaci di prima scelta per ogni paziente con diabete tipo 2.  

 

Bibliografia

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Benedetta Maria Bonora

Dipartimento di Medicina, Università di Padova, 35128 Padova

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