Studio EMPRISE: analisi dei dati al terzo anno di studio
Background
Lo studio EMPA-REG OUTCOME (1) dimostrò nel 2015 la capacità di empagliflozin di ridurre il rischio di MACE (composito di morte cardiovascolare, infarto e ictus non fatali) e di morte cardiovascolare, morte per tutte le cause e ospedalizzazione per scompenso cardiaco in pazienti diabetici di tipo 2 con malattia cardiovascolare ischemica ma privi − nel 90% della popolazione arruolata − di scompenso cardiaco al basale. Particolarmente sorprendente e del tutto inatteso apparve l’effetto sostanziale (oltre il 30%) di riduzione delle ospedalizzazioni, in considerazione dell’impatto del diabete mellito di tipo 2 riguardo al rischio di sviluppare insufficienza cardiaca, che rappresenta la principale causa di ospedalizzazione in questi pazienti
Le popolazioni arruolate negli studi randomizzati sono spesso, anche sostanzialmente, diverse da quelle corrispondenti al mondo reale, queste ultime in generale più anziane e con maggiori comorbilità.
A tale riguardo il dato fornito dalle osservazioni nella pratica clinica, sebbene meno solido dal punto di vista della evidenza scientifica, fornisce importanti informazioni sul trasferimento delle evidenze degli studi clinici a particolari sottogruppi di pazienti non adeguatamente riportati negli studi di fase 3 e, soprattutto, rileva profili di sicurezza nel contesto più sfidante della pratica clinica.
Lo studio “EMPagliflozin CompaRative effectIveness and SafEty” (EMPRISE) (3) (4) ha valutato, in un’osservazione di coorte, l’efficacia, la sicurezza e l’impatto sui sistemi sanitari di empagliflozin, sulla base di dati del real world per un periodo di 5 anni dalla data di approvazione di empagliflozin negli Stati Uniti.
Disegno dello studio
Nello studio i pazienti che assumevano empagliflozin sono stati confrontati con coloro che assumevano inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP4i) mediante una selezione 1:1 di coppie rese confrontabili con il metodo del propensity score matching 1:1 (Figura 1).
I partecipanti allo studio erano pazienti di età pari o superiore a 18 anni con diabete mellito tipo 2, mentre sono stati esclusi dallo studio pazienti con una diagnosi di diabete di tipo 1, storia di diabete secondario o gestazionale, tumore maligno, insufficienza renale cronica terminale, positivi all’HIV, trapiantati o ricoverati in casa di cura durante l’anno precedente all’arruolamento (Figura 2).
I DPP4i sono stati scelti per il gruppo di controllo perché rappresentano un’alternativa terapeutica comparabile, hanno una buona efficacia ipoglicemizzante con un rischio di ipoglicemia simile ed inoltre sono neutri sugli eventi cardiovascolari (5) (6).
Lo studio EMPRISE ha valutato outcome di efficacia, sicurezza ed impatto sul sistema sanitario (Figura 3).
Risultati
La tabella 1 riassume gli eventi per gruppo. La distribuzione delle caratteristiche al basale era ben bilanciata tra i due gruppi, compresi i risultati dei test di laboratorio come HbA1c e velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR), nonostante questi parametri non fossero inclusi nel modello statistico. I partecipanti allo studio avevano in media 60 anni, il 55% erano maschi, solo il 28% aveva una storia di malattia cardiovascolare accertata, il 62% era in terapia con metformina all’arruolamento, il 18% era in terapia con insulina e l’HbA1c media era dell’8,5%. Tra i DPP4i, sitagliptin e linagliptin sono stati i farmaci più rappresentati (62% e 18% rispettivamente).
Il tempo medio di follow-up del trattamento è stato di circa 6 mesi in entrambi i gruppi. Oltre 9000 pazienti hanno avuto un tempo di follow-up superiore a 1 anno.
L’impiego di empagliflozin è stato associato a una riduzione del 52% di ospedalizzazione per scompenso cardiaco, sia che questa fosse la prima diagnosi tra le diagnosi di dimissione (HR 0,48, IC 95% 0,35-0,67), sia che fosse in altre posizioni (HR 0,63, IC 95% 0,54-0,74). Viceversa, non sono state osservate differenze per l’endpoint composito di infarto miocardico o ictus (HR 0,99, IC 95% 0,81-1,21). Le curve di Kaplan-Meier sono visibili in figura 4.
Le curve di Kaplan-Meier per le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco si sono separate precocemente, entro i primi 6 mesi dall’inizio del trattamento.
Per gli endpoint secondari di efficacia, non è stata osservata alcuna differenza nel rischio di infarto miocardico o ictus considerati separatamente. Da sottolineare come empagliflozin è stato associato a un minor rischio di mortalità per tutte le cause (HR 0,52, IC 95% 0,38-0,72) e dell’endpoint composito di infarto miocardico, ictus o mortalità per tutte le cause (HR 0,83, IC 95% 0,70-0,98). Per gli endpoint di sicurezza, il rischio di amputazione degli arti inferiori e di fratture ossee è risultato essere simile, mentre era aumentato il rischio di chetoacidosi diabetica (HR 1,71, IC 95% 1,08-2,71) e diminuito il rischio di insufficienza renale acuta (HR 0,60, IC 95% 0,43-0,85).
Lo studio EMPRISE fornisce quindi, in una popolazione circa 10 volte più grande della popolazione arruolata nello studio EMPA-REG OUTCOME, e a rischio cardiovascolare minore in quanto costituita in larga prevalenza da pazienti senza evidenza di malattia cardiovascolare al basale, risultati perfettamente sovrapponibili allo studio randomizzato di fase 3 (1,2,7).
In sintesi, quando confrontato con un trattamento ipoglicemizzante alternativo come i DPP4i, empagliflozin è stato associato a una sostanziale riduzione del rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco, così come osservato nel confronto con placebo in popolazioni con diabete mellito tipo 2 senza scompenso al basale o in pazienti diabetici o non diabetici con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (8-10). Empagliflozin e i DPP4i hanno avuto un’efficacia comparabile nella prevenzione di infarto miocardico o ictus, indipendentemente dalla presenza di una malattia cardiovascolare accertata al basale. Questi risultati confermano quanto già osservato dai precedenti trial, sebbene la durata del follow-up sia stata più lunga. Lo studio EMPRISE riporta per la prima volta analisi di sicurezza sull’utilizzo di empagliflozin nella pratica clinica. Lo studio CANVAS (2) aveva rilevato un rischio quasi doppio di amputazione degli arti inferiori d un rischio aumentato di fratture ossee tra i pazienti randomizzati a canagliflozin rispetto al placebo. Sebbene questo non sia stato osservato nel successivo studio CREDENCE (11), l’etichetta di canagliflozin negli USA è stata modificata per includere un’avvertenza su questi rischi e sono state sollevate preoccupazioni rispetto ad altri inibitori di SGLT2. Nello studio EMPRISE non è stata osservata alcuna differenza nel rischio di amputazioni degli arti inferiori o di fratture tra i pazienti che iniziavano empagliflozin rispetto ai DPP4i. Questi risultati sono coerenti con i risultati dello studio EMPA-REG OUTCOME che ha riportato un eccellente profilo di sicurezza del farmaco.
Empagliflozin è stato associato a un rischio aumentato del 71% di chetoacidosi diabetica rispetto ai DPP4i, confermando quanto già osservato nei trial randomizzati ed in studi osservazionali (12,13).
Infine, anche dallo studio EMPRISE si conferma un effetto nefroportettivo tra i pazienti che iniziano empagliflozin rispetto ai DPP4i, aspetto di notevole rilevanza clinica insieme al beneficio di protezione cardiovascolare (14).
Conclusioni
In conclusione, i risultati dello studio EMPRISE hanno mostrato che, in confronto a pazienti che assumono DPP4i, empagliflozin è associato a un rischio sostanzialmente ridotto di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e mortalità per tutte le cause e a un rischio simile di infarto miocardico o ictus nel mondo reale, così come riportato negli studi randomizzati. Si conferma dunque l’effetto di prevenzione primaria dello scompenso cardiaco, ovvero della capacità di contrastare il peso sfavorevole del diabete mellito nell’incidenza di scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta o preservata, recentemente incorporato con raccomandazione di tipo 1 nelle linee guida della società europea di cardiologia (ESC) sullo scompenso rilasciate nel 2021. Tali evidenze sono particolarmente rilevanti non soltanto per gli aspetti clinici ma anche per le potenziali ripercussioni di tipo farmaco economico relative al risparmio di ospedalizzazioni che rappresentano, nel paziente diabetico, la principale voce di spesa sanitaria.
Bibliografia
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