Terapia combinatoria SGLT2-i/GLP1-RA nel diabete di tipo 2
Approccio terapeutico fisiopatologico alla terapia del diabete di tipo 2 (DMT2) (treat-to-target)
Negli ultimi 30 anni è progressivamente cresciuta la consapevolezza di quanto sia complessa la fisiopatologia del DMT2. Dalla visione iniziale, celebrata nella lettura Lilly di Ralph De Fronzo all’American Diabetes Association del 1987 (1) nella quale venivano delineati i ruoli patogenetici dell’insulino resistenza a livello del muscolo scheletrico e del fegato, nonché il ruolo della ridotta funzione beta-cellulare, la visione si è notevolmente articolata nel tempo dimostrando il coinvolgimento di altri organi ed apparati (Figura 1).
Nel decennio successivo infatti, anche grazie allo sviluppo della ricerca farmacologica relativa ai modulatori del sistema dei recettori attivati da proliferatori perossisomiali (PPARs), si è focalizzata l’attenzione sull’importanza del tessuto adiposo responsabile primario del deposito dell’eccesso di calorie introdotte con la dieta sotto forma di trigliceridi, nonché ghiandola endocrina capace della produzione di ormoni con effetti metabolici (leptina e adiponectina) e di mediatori chiave dell’infiammazione sistemica di basso grado (citochine e chemochine sia pro- che anti-infiammatorie). Si è compreso che fintanto che l’eccesso calorico sotto forma di acidi grassi rimane confinato nell’adipocita, gli effetti metabolici deleteri sul metabolismo del glucosio sono evitati (2). Ciononostante, con l’espansione del tessuto adiposo e con l’iperplasia/ipertrofia dell’adipocita si sviluppa la resistenza insulinica anche in questo tessuto e in modo particolare l’effetto anti-lipolitico dell’insulina viene a mancare con un accelerato flusso di lipidi in direzione della beta-cellula, del fegato e del muscolo scheletrico, responsabile della lipo-tossicità che induce in questi distretti i difetti metabolici tipici dell’insulino resistenza (2).
Successivamente sempre grazie all’impulso della ricerca farmacologica nel settore delle incretine, si è scoperto che anche il tratto gastro-intestinale è una ghiandola endocrina capace di produrre ormoni che regolano la funzione beta-cellulare e che questi ormoni possono avere anche effetti metabolici su organi e tessuti periferici nonché sul sistema nervoso centrale, modulando le sensazioni di fame e sazietà e del piacere generato dall’assunzione di cibo. Si tratta del glucagon-like peptide-1 (GLP-1) prodotto dalle cellule-L e del GIP prodotto dalle cellule-K che a seguito dell’assunzione di alimenti contribuiscono per > 50% alla produzione di insulina e di inibizione della produzione di glucagone in condizioni post-prandiali ma che nelle persone con il DMT2 potrebbero essere deficitari (3,4).
Più recentemente si è scoperto che anche il rene può contribuire alla patogenesi del DMT2. È ben noto infatti, che a livello glomerulare vengono filtrati quotidianamente circa 180 g di glucosio, e che a livello tubulare questi vengono completamente riassorbiti nel torrente circolatorio grazie all’azione del sodium glucose transporter 2 (SGLT2) (che riassorbe l’80%-90% del glucosio) e dell’SGLT1 (che riassorbe il 10%-20% del glucosio) con il risultato netto di non avere glicosuria nel soggetto sano. Alcuni dati suggeriscono che nelle persone con DMT2, la soglia della concentrazione plasmatica di glucosio che determina il riassorbimento del glucosio tubulare è più elevata, contribuendo quindi al mantenimento dell’iperglicemia (5). Questo difetto è secondario alla piena manifestazione del diabete, ma è presente anche in pazienti con un buon controllo metabolico e sembra aggravarsi con il peggioramento dell’emoglobina glicosilata A1c (HbA1c).
Da ultimo, non deve essere dimenticato che anche il cervello gioca un ruolo fondamentale nella regolazione dell’omeostasi energetica (regolando senso di fame, sazietà e determinando il piacere nel consumo del cibo) e del metabolismo del glucosio. Anche il cervello manifesta la resistenza all’insulina, che a sua volta determina un incremento dell’intake calorico e incremento del peso da un lato (6) e, dall’altro, tramite le efferenze del sistema nervoso vegetativo, contribuisce all’insulino resistenza degli organi periferici e del fegato in particolare (7).
A causa di questa complessità patogenetica nella quale gli effetti di difetti multipli a livello di diversi organi e apparati contribuisce all’iperglicemia (8) non è sorprendente che la manipolazione farmacologica di uno solo di questi difetti non sia in grado di produrre un robusto e sostenuto controllo della HbA1c nel tempo (9,10). Tanto è vero che le raccomandazioni terapeutiche di alcune società scientifiche già da qualche anno arrivano a proporre un intervento farmacologico combinato sin dalle prima fasi di insorgenza clinica della malattia (11) (Figura 1).
Le Linee Guida Nazionali e Internazionali: approccio terapeutico di prevenzione cardiovascolare (CVD) e malattia renale cronica (CKD) (treat-to-benefit)
L’iperglicemia rappresenta la manifestazione cardine del diabete mellito, e nella routine clinica ambulatoriale l’emoglobina glicata costituisce l’indicatore di andamento della malattia che viene monitorato e modulato farmacologicamente con gli interventi terapeutici. Per anni, quindi, le linee guida si sono preoccupate di proporre raccomandazioni di trattamento relative all’efficacia terapeutica sull’emoglobina glicata, la sicurezza e la tollerabilità, e l’impatto sulla qualità di vita del paziente. Il destino prognostico del paziente è però determinato dall’insorgenza delle complicanze vascolari che sono determinate dall’iperglicemia persistentemente elevata, in particolare, le complicanze micro-vascolari quali la retinopatia, nefropatia e neuropatia che sono associate al grado di iperglicemia e alla sua durata nel tempo. In realtà la causa principale di morte nel paziente con diabete è conseguente alle complicanze macro-vascolari rappresentate dall’aterosclerosi a livello coronarico (infarto del miocardio), cerebrale (ictus cerebrale), arterioso degli arti inferiori (arteriopatia obliterante periferica), nonché arterioso di qualsiasi distretto corporeo (12). Per questo motivo la gestione del DMT2 ha previsto da tempo interventi multi-fattoriali anche farmacologici da somministrare simultaneamente per prevenire le complicanze vascolari: le statine per il controllo della dislipidemia, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-i) e angiotensin receptor blocker (ARB) per l’ipertensione arteriosa e farmaci anti-piastrinici come nel caso dell’acido acetilsalicilico. In relazione alla capacità di poter prevenire le complicanze macro-vascolari, negli ultimi anni risultati dei grandi studi clinici controllati randomizzati (RCTs) di sicurezza cardiovascolare che hanno valutato i farmaci delle classi degli SGLT2-i e GLP1-RA hanno rivoluzionato in modo copernicano il modo in cui il diabetologo può prevenire con questi farmaci le complicanze vascolari e renali del diabete. Da un lato, correggendo le alterazioni alla base della fisiopatologia del DMT2 come discusso precedentemente, dall’altro, inducendo un effetto positivo sulle complicanze in buona parte in modo indipendente dal controllo glicemico. Nel giro di meno di cinque anni le Linee Guida Nazionali e Internazionali hanno modificato radicalmente le raccomandazioni terapeutiche. Fino al 2016 l’implementazione della terapia veniva suggerita nel caso l’obiettivo terapeutico di HbA1c non venisse raggiunto, ma non veniva suggerita una gerarchia di scelta di farmaci da introdurre subito dopo la metformina; si proponeva invece una scelta basata sulle caratteristiche del paziente e nella quale sulfaniluree, pioglitazione, DPP4-i, SGLT2-i, GLP1-RA e insulina, tutte sullo stesso piano, potessero essere utilizzate in modo sartoriale nello specifico paziente (13). A distanza di pochi anni, tutte le linee guida sono consistenti nel suggerire uno specifico indirizzo terapeutico: l’utilizzo in prima linea degli SGLT2-i e GLP1-RA nei pazienti con evento pregresso o in prevenzione primaria a rischio elevato o molto elevato subito dopo o prima della metformina indipendentemente dal valore della HbA1c (Tabella 1).
Lo scopo non è più quindi solo quello di raggiungere un obiettivo terapeutico (treat-to-target) ma di indurre in modo diretto un beneficio (treat-to-benefit) (14-16) e quindi migliorare l’aspettativa e la qualità di vita del paziente. Si tratta non solo di garantire un adeguato controllo metabolico fortemente indirizzato a raggiungere un obiettivo terapeutico, ma per la prima volta anche di ridurre in modo diretto il danno d’organo.
Quale razionale a supporto della terapia di combinazione?
Queste recenti linee guida suggeriscono l’utilizzo degli SGLT2-i nel caso in cui prevalga il rischio di scompenso cardiaco o malattia renale e l’utilizzo di GLP1-RA nel caso prevalga il rischio di malattia cardiovascolare su base aterosclerotica. Una delle domande che rimane aperta è se l’utilizzo combinato di questi farmaci possa conferire una riduzione additiva dei loro effetti metabolici e del rischio e, a dispetto di mancanza di evidenze scientifiche definitive, le linee guida delle società scientifiche prevedono espressamente la possibilità di poterle associare specialmente nei pazienti a rischio cardiovascolare particolarmente elevato e nei pazienti con malattia renale. Il razionale alla base di questo suggerimento si basa sui diversi meccanismi d’azione attraverso i quali SGLT2-i e GLP1-RA agiscono migliorando il compenso glicemico, che possono essere complementari e additivi. In particolare, i GLP1-RA migliorano la performance beta-cellulare, inibiscono la secrezione di glucagone, riducono la produzione endogena di glucosio, correggono il deficit di secrezione incretinica, agiscono a livello del sistema nervoso centrale facilitando la perdita di peso, migliorano prevalentemente in modo indiretto la sensibilità insulinica a livello del muscolo scheletrico e del fegato. Gli SGLT2-i, inibendo il riassorbimento tubulare prossimale del glucosio, riducono la glucotossicità, migliorano la sensibilità insulinica e la performance beta-cellulare (17). Inoltre agiscono su obiettivi intermedi che consideriamo proxy di rischio cardiovascolare: riducono la massa corporea, riducono la pressione arteriosa, hanno effetti anti-infiammatori, hanno effetti natriuretici e inducono protezione renale, e da ultimo ma non per ordine di importanza il rischio di ipoglicemia associato al loro utilizzo è molto basso (18) (Tabella 2).
Quali dati a supporto della terapia di combinazione?
Sulla base di questo razionale è lecito attendersi un effetto superiore della terapia di combinazione quando comparato all’utilizzo del singolo strumento terapeutico. Sono infatti disponibili in letteratura numerosi studi che hanno, in parte con risultati controversi, cercato di dimostrare questa ipotesi. Lo sforzo meta-analitico più recente ha selezionato 8 studi che dovevano assolvere ai seguenti criteri di selezione: 1) dovevano essere RCT; 2) dovevano confrontare gli effetti della terapia di combinazione vs monoterapia; 3) dovevano avere un follow-up minimo di 12 settimane; 4) dovevano includere soggetti adulti con DMT2; 5) dovevano includere dati relativi al set completo di outcome intermedi (HbA1c, glicemia a digiuno e post-prandiale, profilo lipidico, pressione arteriosa); 6) senza restrizione di sesso, razza e nazionalità. L’analisi si è quindi basata su una popolazione di quasi 2.000 pazienti con DMT2 (19). I parametri relativi al controllo glicemico (HbA1c, glicemia a digiuno e glicemia post-prandiale) risultavano essere significativamente meglio controllati dalla terapia di combinazione rispetto alla mono-terapia. Ad esempio, la differenza di effetto sulla HbA1c è risultata essere di 0,77% (95% CI: -1,03, -0,50; p < 0,001) con una differenza maggiore quando comparato al solo SGLT2-i (circa 1%) rispetto a quando comprato al solo GLP1-RA (circa 0,5%). L’effetto inoltre sembrava essere maggiore quando venivano presi in considerazione studi di minor durata rispetto a quelli di durata maggiore anche se la differenza persisteva negli studi della durata di almeno un anno. Gli stessi risultati erano riproducibili anche per gli effetti relativi alla riduzione ponderale e dell’indice di massa corporea (BMI), pressione arteriosa sistolica (ma non diastolica) e colesterolo-LDL (ma non i trigliceridi). In termini di sicurezza il rischio di ipoglicemia era significativamente più elevato con la terapia di combinazione rispetto alla monoterapia e il rischio di effetti collaterali di tipo gastrointestinale e di reazione avversa in sede di iniezione era più elevato quando comparato al solo SGLT2-i e di tipo infezione genitale quando comprato al solo GLP1-RA. Non è stato però osservato un aumento del rischio di eventi avversi gravi.
Non è ancora invece possibile dare una risposta alla domanda se la terapia di combinazione sia in grado di ridurre il rischio cardiovascolare o di malattia renale rispetto alla monoterapia perché i dati attualmente disponibili sono fragili e in parte controversi. La meta-analisi sopra descritta (19) non documentava una differenza negli eventi cardiovascolari utilizzando un outcome composito particolarmente articolato (arteriopatia coronarica, angina pectoris, angina instabile, infarto del miocardio, fibrillazione atriale, bradicardia, palpitazioni e tachicardia). Questa osservazione è in contrasto con una meta-analisi precedente che aveva però il limite importante di aver incluso nell’analisi non solo 5 RCT ma anche 6 studi clinici non randomizzati (20). In questa analisi il rischio definito da un outcome composito cardiovascolare costituito da infarto del miocardio, ictus cerebrale e ospedalizzazione per scompenso cardiaco era risultato inferiore nella terapia di combinazione quando comparata alla monoterapia.
Nell’ambito dei dati generati dall’analisi della pratica clinica nel Real World, con i limiti noti di questo tipo di analisi, è stato recentemente riportato uno studio che ha incluso il database di tre compagnie di assicurazione Americane in pazienti con DMT2 in terapia con GLP1-RA a cui è stato associato un SGLT2-i vs una sulfanilurea nel periodo Aprile 2013-Giugno 2018 (21). Rispetto all’introduzione della terapia con sulfanilurea, l’introduzine dell’SGLT2-i in associazione al GLP1-RA si associava a un’incidenza dell’end-point composito ridotta (pooled adjusted hazard ratio, 0,76 [95% CI, 0,59–0,98]) con riduzione dell’ospedalizzazione per scompenso cardiaco (pooled adjusted hazard ratio, 0,64 [95% CI, 0,50–0,82]), e il risultato sembrava essere trainato dalla riduzione dell’infarto del miocardio e della mortalità per tutte le cause, ma non dall’ictus cerebrale. Questo studio costituisce un’evidenza iniziale a supporto dell’ipotesi che l’effetto dell’introduzione di un SGLT2-i alla terapia con GLP1-RA genera un effetto additivo in termini di prognosi cardiovascolare, almeno quando comparato a quello dell’introduzione della sulfanilurea.
Conclusione
Gli SGLT2-i e i GLP-1-RA hanno dimostrato di non essere solo dei farmaci anti-diabetici. Essi possono modificare la storia naturale del paziente con DMT2 riducendo il rischio di malattia cardiovascolare e della progressione della malattia renale.
In questi anni di crescente consapevolezza relativa ai loro effetti oltre al semplice controllo metabolico, si è spesso dibattuto se il paziente avesse maggiori indicazioni ad intraprendere una terapia con un SGLT2-i o con un GLP1-RA. In realtà, nella storia naturale del nostro paziente, ben sappiamo che a causa della natura degenerativa del DMT2 sarà molto probabile dover intervenire con un approccio terapeutico multi-farmacologico. Nel momento dell’intensificazione terapeutica, la combinazione SGLT2-i/GLP1-RA costituisce un’opzione robusta sia allo scopo di ottenere gli obiettivi terapeutici strettamente metabolici sia per contenere il rischio delle complicanze del DMT2. Non a caso gli algoritmi terapeutici delle società scientifiche considerano già da ora questa terapia di combinazione un’opzione da considerare prioritariamente, specialmente nei pazienti a rischio cardiovascolare molto elevato ed elevato quando l’obiettivo terapeutico non è pienamente raggiunto.
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